Episodi del ciclo di sant'Orsola (immagini precedenti all'ultimo restauro). Il re d'Inghilterra invia ambasciatori al re di Bretagna con la richiesta di matrimonio per conto del figlio (cm 214x232); Il commiato di Orsola dalla madre (cm 233,5x220); Orsola giunge a Roma e viene accolta dal Papa (cm 228x217,5); Il papa rinuncia alla tiara (cm 223x214).


































L'abate Luigi Bailo

[1] L'abate Bailo a conclusione dell'impresa di stacco degli affreschi scriverà una dettagliata memoria dell'intera vicenda. L. Bailo, Degli affreschi salvati nella demolita chiesa di Santa Margherita in Treviso, Tipografia Luigi Zoppelli, Treviso 1883.




Pianta della chiesa di Santa Margherita con la cappella contenete il ciclo di sant'Orsola; Disegno di Antonio Carlini di poco precedente la demolizione della chiesa (si vede già una parte demolita del tetto dell'abside) (Treviso, Biblioteca Comunale); Acquerello di Antonio Carlini che testimonia l'aspetto della cappella contenete il ciclo ad affreschi (Treviso, Biblioteca Comunale)
























Correggio, Incoronazione della Vergine (Parma, Galleria Nazionale)
LE STORIE DI SANT'ORSOLA DI TOMASO DA MODENA.
BREVE CRONACA DI UN EROICO SALVATAGGIO.

Il ciclo ad affresco raffigurante le storie di sant'Orsola, realizzato da Tomaso da Modena poco dopo la metà del XIV secolo, è uno dei capolavori della pittura del Trecento in Veneto. Gli affreschi esposti nel Museo Civico di santa Caterina di Treviso, da qualche anno restaurati, sono tra le opere più significative di questo grande pittore emiliano che ha vissuto e operato almeno per una decina d'anni a Treviso.



































In queste pitture c'è tutta la sua straordinaria abilità di narratore di storie, attraverso l'eloquenza dei gesti, la descrizione degli abiti delle figure e l'espressività dei volti, abilità che aveva pochi eguali tra i pittori a lui contemporanei. Ma se tutti gli amanti dell'arte conoscono il valore altissimo di questo ciclo decorativo, meno nota è invece la storia di come esso fu salvato dal coraggio e dalla determinazione di tre persone che hanno saputo compiere un'impresa senza precedenti. Era il 1882 e con un provvedimento dell'autorità militare si decideva la parziale demolizione della chiesa gotica di Santa Margherita agli Eremitani. L'edificio, sconsacrato in epoca napoleonica, era da tempo in stato di degrado poiché adibito a fienile. Il progetto prevedeva la sua trasformazione in un maneggio per i cavalli dell'esercito. In un'epoca in cui la sensibilità per il patrimonio storico-artistico non era quella di oggi, tale demolizione sarebbe passata quasi sotto silenzio se non fosse stato per l'intervento dell'abate Luigi Bailo [1]. La sua sensibilità per la storia e l'arte, unita all'amore per la sua città lo portò a combattere una battaglia solitaria per evitare questa demolizione attraverso ripetuti appelli a tutte le autorità competenti. Arrivò fino al Ministero della Pubblica Istruzione che, a quel tempo, aveva la responsabilità della tutela delle "antichità" e "cose d'arte", come all'epoca si diceva, ma senza ottenere risultati. Nel frattempo nella primavera dell'anno successivo si decise di dare inizio ai lavori, cominciando dalla demolizione del tetto. Con la caduta accidentale di alcune parti dell'intonaco più recente che ricopriva le pareti interne della chiesa, ci si accorse che l'edificio custodiva numerose decorazioni ad affresco.
Questo però non fece fermare i lavori di demolizione. A questo punto l'abate cominciò a chiedere qualche sovvenzione pubblica per pagare degli esperti che fossero in grado di staccare gli affreschi più preziosi ed evitarne così la distruzione. Purtroppo però anche questo accorato appello cadde nel vuoto. Inoltre il costo per pagare i pochi professionisti in Italia in grado di realizzare lo stacco di affreschi, era troppo alto. La situazione sembrava ormai perduta. Con la forza della disperazione Bailo decise allora di provare lui stesso a coordinare le operazione di stacco degli affreschi, ma aveva bisogno di due artisti che avessero l'abilità manuale necessaria e disposti a cimentarsi in un'impresa ad alto rischio di fallimento. Trovò tali artisti nel giovane scultore Antonio Carlini e nell'amico di questi Girolamo Botter, pittore e decoratore. Entrambi, però, erano del tutto inesperti nella tecnica dello stacco degli affreschi. Studiarono perciò in gran fretta il manuale che spiegava il metodo che a loro parve più adatto per affrontare la sfida che avevano di fronte. Esso consisteva nell'incollaggio di teli sulla superficie dell'affresco e nel batterci sopra con dei mazzuoli debitamente foderati in modo da provocare le vibrazioni necessarie a causare lo stacco dell'intonaco affrescato dalla superficie muraria. Tale intonaco andava poi attaccato sulla superficie in calce di un nuovo sostegno. Essi cominciarono quindi queste operazioni il 18 giugno 1883 lavorando senza sosta per 50 giorni su impalcature di fortuna e con i pochi mezzi che le loro scarse finanze permettevano. Intanto le opere di demolizione proseguivano inesorabili. Lo stacco degli affreschi di sant'Orsola fu inoltre complicato dal fatto che l'unico accesso alla cappella di destra, guardando verso l'altar maggiore, era ostruito dalle macerie della demolizione del tetto. Si doveva quindi sollevare l'affresco staccato sopra il muro perimetrale della cappella, alto dodici metri, per poi calarlo all'esterno. Alla fine dei lavori vennero salvati dalla distruzione circa 120 metri quadrati di affreschi, tra cui il capolavoro di Tomaso da Modena. Fu il primo stacco nella storia di così vaste proporzioni. Il precedente più importate, realizzato con questa tecnica da Guglielmo Botti, uno dei massimi esperti italiani, aveva riguardato un affresco di Correggio con l'Incoronazione della Vergine (Galleria Nazionale di Parma) di poco più di 5 metri quadrati. Il visitatore, quindi, dopo aver osservato bene questi affreschi, dia uno sguardo anche sul retro del supporto che li sostiene. È ancora quello originale, realizzato dai nostri tre protagonisti durante le operazioni di stacco. Scopriremo le annotazioni che Bailo vi scrisse in quei giorni, testimonianza viva di quanto l'amore per l'arte, come patrimonio di tutti, abbia qui conosciuto uno dei capitoli più belli della sua storia.

Redazione di venetocultura.org